di Giuseppe Annunziata
In ogni alimento che mangiamo, ciascun nutriente complesso (carboidrati, proteine e lipidi) ricopre un ruolo biologico all'interno dell'organismo grazie alla presenza di specifiche molecole di natura proteica, che chiamiamo enzimi, capaci di catalizzare vere e proprie reazioni chimiche per mezzo delle quali il composto chimico in questione (il nutriente per l'appunto) può essere adeguatamente processato al fine di ridurlo a nutriente semplice (glucosio, amminoacidi, trigleridi...), che entrerà, poi, nelle opportune vie biochimica per ricavarne energia. Questo è quanto accade nel cosiddetto catabolismo, ovvero la tappa degradativa del metabolismo; l'altra tappa, l'anabolismo, è quella di sintesi, che porta alla produzione delle macromolecole, i suddetti nutrienti complessi, a partire da quelli semplici. Tanto più un nutriente viene facilmente processato dagli specifici enzimi (e, dunque, utilizzato dall'organismo), tanto più, si dice, la sua biodisponibilità è elevata.
Ci sono, però, alcuni nutrienti che non vengono utilizzati dal nostro organismo - dunque non rappresentano un substrato - perché non vi sono gli enzimi in grado di degradarli. Per questi alimenti, pertanto, si dirà che la biodisponibilità sarà uguale a 0 (zero). Uno di questi composti appena descritti è la cellulosa che, non processata, attraversa
tutto il sistema digerente e, nel crasso, può essere fermentata da alcuni
batteri (detti acidogeni) oppure essere eliminata attraverso le feci.
La cellulosa è presente nei cibi di origine vegetale dove, però, sono anche presenti emicellulosa, gomme e mucillagini. Si
tratta sempre di composti di origine glicidica con biodisponibilità zero.
Tali composti sono detti fibre
alimentari, sostanze contenute nei cibi di origine vegetale che non
rappresentano un substrato energetico per le cellule. Esse svolgono, tuttavia, un ruolo
molto importante nei processi di digestione ed assorbimento e nel corretto
funzionamento del sistema digerente.
Ma cosa sono queste fibre alimentari?