L’acidosi metabolica è una
alterazione dell’equilibrio acido–base caratterizzata da riduzione della bicarbonatemia,
associata o meno ad acidemia. Essa è di frequente riscontro in clinica, in
particolare nel paziente critico e/o con insufficienza renale. In ambito
nefrologico tale condizione si può manifestare a causa di una riduzione del
filtrato glomerulare ed il conseguente accumulo progressivo di acidi fissi,
derivanti dai processi metabolici secondari all'alimentazione. L’acidosi, sia
in acuto che in cronico, è clinicamente rilevante in quanto si associa a
significative alterazioni del metabolismo cellulare, contribuendo a modificare in
senso negativo la prognosi del paziente, in termini di incremento sia della
morbilità che della mortalità. Le odierne linee guida raccomandano il
trattamento dell’acidosi con alcali allorquando la concentrazione ematica di
bicarbonato sia < 22mmol/L, in maniera da prevenire le complicanze ad essa
annessa come insulino-resistenza, malattie cardiovascolari e progressione della
malattia renale. La correzione della condizione di acidosi può essere
effettuata sia attraverso la somministrazione farmacologica di alcali o di
bicarbonato di sodio, ma anche attraverso una dieta ricca di frutta e verdura.
In aggiunta, la terapia conservativa dell’insufficienza renale cronica, che
prevede l’utilizzo di diete ipoproteiche, è stata riconosciuta come una vera e
propria terapia nutrizionale con l’obiettivo di ottenere una riduzione
dell’apporto di sale e del conseguente grado di ipertensione, dei livelli di
assunzione di fosfati, della proteinuria ed un ritardo dell’inizio del percorso
dialitico; tutto ciò attraverso un ridotto carico di cataboliti ed il
raggiungimento di un miglior controllo metabolico.
Tabella 1: Composizione bromatologica delle
diete
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Ogni 6 mesi i
partecipanti allo studio effettuavano i test ematici e delle urine. Particolare
attenzione veniva posta alla corretta raccolta delle urine delle 24 ore, la
quale era mostrata in maniera dettagliata a tutti i pazienti. L’intake proteico
giornaliero è stato valutato con la formula di Maroni et al. e non attraverso i
classici metodi di indagine dietetica. Dunque la stima dell’intake proteico
giornaliero veniva effettuata con l’ausilio dalla seguente formula: (6.25 x
azoto ureico urinario mg/die) + (0.031 x peso corporeo in kg) + proteine
urinarie g/die, usando l’urea urinaria delle 24 ore. Sono stati calcolati anche
il PRAL (potential renal acid load) e il NEAP (net endogenous acid production),
entrambi inversamente correlati con i livelli di bicarbonato sierico e che
titolano il carico acido non volatile derivante dall’alimentazione.
Al baseline i due
gruppi non mostravano differenze significative ad eccezione del peso corporeo,
che era più basso nel gruppo VLPD rispetto ai controlli (71.6 ± 13.1 vs 77.8 ±
14.2 kg; p<0.0001), della creatinina urinaria (69.8 ± 29.1 in VLPD vs 99 ±
32.7 µmol/die nel gruppo controllo; p < 0.0001) [spiegabile dalla differenza
di peso] e della funzione renale residua (26 ± 12 mL/min nel gruppo VLPD vs 39
± 14 mL/min nel gruppo di controllo; p < 0.0001).
I pazienti sottoposti a
dieta VLPD a 6 e a 12 mesi di follow-up hanno mostrato una riduzione
significativa della pressione arteriosa sia sistolica che diastolica, dell’urea
plasmatica, della calcemia, della fosfatemia, della sodiuria, della potassiuria
e della fosfaturia rispetto al gruppo di controllo (Tabella 2). Anche se a 6
mesi la potassiemia era più alta nel gruppo VLPD rispetto a quello di
controllo, ciò non si è mostrato a 12 mesi; fenomeno molto probabilmente legato
alla correzione dell’acidosi metabolica. La dose di bicarbonato totale
somministrato nella prima metà del follow-up era di 11.919 ± 297 mmol nel
gruppo controllo e 6.426 ± 224 mmol nel gruppo VLPD, mentre a 12 mesi si
mostrava un aumento ulteriore per il gruppo di controllo ed una riduzione
ulteriore della dose di bicarbonato nel gruppo a dieta fortemente ipoproteica
(Figura 1). Inoltre nel gruppo VLPD l’indice NEAP si è ridotto
significativamente del 53% a 6 mesi e del 67% dopo 12 mesi; lo stesso è
accaduto per il PRAL che si è ridotto del 120% e del 138%, rispettivamente a 6
e a 12 mesi di follow-up.
Tabella 2: Dati a 6 e 12 mesi del gruppo
controllo vs gruppo VLPD
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Gli effetti benefici legati
alla correzione dell’acidosi metabolica sono stati descritti in numerosi studi.
Nel 2010 Menon et al, in un’analisi post-hoc dello studio MDRD ( il primo
grosso trial che aveva lo scopo di dimostrare l’efficacia dell’alimentazione
nella malattia renale), hanno evidenziato che livelli di bicarbonatemia più
bassi aumentavano il rischio di morte renale e di mortalità.
Figura 1: Dose di bicarbonato somministrato
per os nel gruppo controllo vs gruppo VPLD
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Wesson et al invece,
hanno mostrato il ruolo fondamentale di una dieta ricca di frutta e verdura,
non solo dal punto di vista nutrizionale, ma anche nel campo della nefrologia,
in quanto essa garantisce un buon quantitativo di sostanze alcaline che sono
necessarie nell’insufficienza renale cronica. Ma la scelta di una dieta
vegetariana/vegana nasce dalla presenza in letteratura di studi che hanno
indagato l’effetto delle proteine di differente origine (animali vs vegetali)
sugli outcomes della malattia renale. In questi studi coloro che assumevano una
dieta il cui contenuto proteico era di origine vegetale presentavano una
riduzione dei fosfati sia ematici che urinari rispetto a chi seguiva una dieta
caratterizzata dalla presenza di proteine di origine animale. Inoltre, il consumo
di proteine di origine animale induceva un peggioramento degli outcomes renali
e della mortalità. Da qui si evince che la terapia nutrizionale nella malattia
renale cronica non deve unicamente limitarsi e focalizzarsi sulla restrizione
proteica ma deve tener conto anche della loro qualità. Nel presente studio la
dieta fortemente ipoproteica conteneva una grande quantità di frutta e verdura
ma anche la supplementazione di aminoacidi essenziali e di cheto-analoghi,
responsabili del decremento degli indici NEAP e PRAL. Infatti gli aminoacidi
essenziali garantiscono un bilancio azotato positivo nel paziente con malattia
renale, riducendo il rischio di malnutrizione e il continuo perpetuarsi della
condizione di acidosi. I cheto-analoghi invece, utilizzando l'azoto ureico,
determinano la formazione di aminoacidi non essenziali, utili per mantenere il
bilancio azotato positivo ma sopratutto per la riduzione dei livelli urea
sierica. In studi precedenti, la dieta fortemente ipoproteica aveva determinato
una riduzione significativa della proteinuria, del carico di fosfati e della
progressione della malattia nei pazienti con insufficienza renale cronica. La
riduzione del grado di proteinuria si verificava anche in pazienti trattati con
ACE-inibitori, i quali non riuscivano a raggiungerla farmacologicamente. Lo
stesso è accaduto nel presente studio con una riduzione che andava da 424 mg a
11 mg/die dopo 12 mesi di dieta fortemente ipoproteica. Ciò indica che la
terapia dietetica nel paziente affetto da insufficienza renale cronica
rappresenta il primo step del trattamento conservativo, in grado di rendere
efficace la terapia farmacologica e/o di potenziarne l'effetto. Infine nel
gruppo VLPD particolare attenzione va posta all’aumento della clearance della
creatinina (da 26 a 30 mL/min dopo 12 mesi), marker di funzione renale, che pertanto
si traduce in un modico aumento di 4 mL/min del filtrato glomerulare oltre che
ad un miglioramento degli indici nutrizionali.
In conclusione la
terapia nutrizionale nell’insufficienza renale cronica, possiede un effetto
benefico pleiotropico. Da quanto si evince dalla lettura di quest'articolo, è
sbagliato focalizzare l'attenzione unicamente sul contenuto proteico della
dieta nell'insufficienza renale, anche se esso rappresenta il punto di partenza
nell'approccio terapeutico della malattia. Pertanto, oltre alla quantità, anche
la qualità può influire in maniera importante sugli outcomes dei pazienti
"renali" , in particolare sulla prevenzione e/o parte della cura dell'acidosi
metabolica.
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